Lo scarabocchio identitario di Sergio Blanco

In tempi di guerra, blocchi e nazionalismi ultrapompati, provo a dire perché il lavoro di Sergio Blanco (appena visto al Piccolo Teatro Grassi in “El bramido de Dusseldorf” e ieri e oggi in https://www.piccoloteatro.org/…/cuando-pases-sobre-mi… al festival Presente Indicativo del Piccolo Teatro Milano), è importante. Le ultime mutazioni dell’epoca postmoderna hanno contribuito a produrre il politically correct, una bestiaccia che, per chi fa cultura, è difficile da gestire, potenzialmente annichilente di ogni differenza e contrasto, azione di spegnimento dell’aggressione perpetrata in nome della diversità (in estremissima sintesi).

La macchina scenica di Sergio Blanco dimostra invece che il postmoderno ha avuto una mutazione (virologica) che disturba la variante dominante. Non è l’unica, in Italia anche Deflorian/Tagliarini negli anni hanno investigato il problema dell’identità con un linguaggio e una prospettiva diversa ma astutamente travestita di pseudodebolezza.

L’assunto e domanda di fondo è sempre lo stesso: chi sono io se non esiste realmente l’identità?

Stiamo su questa domanda, “abitiamola” come si diceva in filosofia un tempo, correndo il rischio di camminare su un crinale scivoloso. Sergio sta vivendo da sempre su questo crinale e nella domanda ci abita come se fosse il suo 2 pièces parigino, sua terra di atterraggio europea. Non è più uruguaiano e non è solo francese. È un po’ sudamericano ma anche europeo.

El bramido de Dusseldorf

È omosessuale ma la sessualità la indaga non solo dall’angolo ristretto dei suoi desideri, ma dal lato pulsionale: è quasi una “ur-sessualità” su cui tornerò, perché è profonda e radicata nella finitudine della vita umana. Sergio ha inventato un pastiche teatrale, altra abitazione questa volta scenica, per accogliere le sue drammaturgie sull’identità, inglobate nell’etichetta dell’AUTOFICCION. In ogni pièce racconta sempre e solo di se ma mischiando verità a finzione, senza che sia possibile riconoscerlo.

Le sue autostorie sono a un tempo vere e false, e su questo crinale porta al guinzaglio lo spettatore, come in cordata. Sono sempre degli autoscontri, e il ring è proprio quello di una giostra in cui i personaggi sbattono continuamente contro i bordi e contro le altre macchinine. Sergio mischia abilmente alto e basso per rendere più polposa questa domanda sull’identità. Canzoni pop e commerciali con Bach e Handel; cagate della tv mischiate a incursioni in nicchie in cui l’arte moderna e religiosa esplode come altro terreno di confronto. Con Shakespeare e la Shoah.

E la tragedia greca. Ma la vera bestia con cui si confronta Sergio è la violenza della storia e dell’umanità. Che ha una radice metafisica nella violenza dell’esistere (el bramido dei cervi, furioso schizzo di sessualità che porta la vita ma anche la battaglia, la morte…) Cosa sono i generi, se non separazione violenta di comodo?

Cosa sono le nazioni se non violenti accorpamenti collettivi di identità subdolamente esclusive?

Il teatro di e per Sergio è un unico dispositivo (il famoso farmaco grecoantico) catartico, in cui abbandonarsi per 90 minuti all’assenza di riferimenti precisi sul sè.

Si galleggia nel nulla identitario, a volte carezzato dal sogno di vedere una composizione finale, altre dalla lacerazione dell’assenza. Senza stare male, anzi stando bene, e ridendo pur nell’atrocità di alcune scene e temi. L’identità di Edipo è maledetta, così come quella del principe di Danimarca.

Sergio Blanco ci dimostra che l’unico modo di vivere la inevitabile impossibilità della ricerca identitaria è quella dell’arte tragica (e comica).

Gli artisti sono i più grandi rivoltosi e potenzialmente i più grandi dittatori.

El bramido e la tomba vengono osati nella rivolta tragicomica dell’artista teatrante che ha accettato, più o meno, di far parte di un’umanità “maledetta” ab origine.

Condannata dalla sua ricerca impossibile di un’identità certa, esclusiva. Nessuna identità è possibile, nessuna stazione di arrivo, tranne la morte, che libera e terrorizza allo stesso tempo.

La Sessualità è freudiana e contradditoria, schizzo di vita e morte. Eros e Thanatos. Non c’è rimedio.

E quindi nessuna nazione esiste al fondo, come nessuna guerra esisterebbe senza la muta feroce di cani identitari.

E la proprietà un sogno, solo un ricovero caruccio per la notte.

Perché siamo infinitamente deboli e sorprendentemente forti, a volte.