Bérénice in-abissata, da Racine a Castellucci

Forse l’immagine più radicale della nuova pièce di Romeo Castellucci, Bérénice, presentata in prima nazionale nell’ambito di FOG, il festival di Triennale Teatro – di cui è Grand Invité per il triennio 21-24 –, è quando Isabelle Huppert, che interpreta la regina palestinese ammalata d’amore, ricompare in scena prima con un calorifero (Tito) e poi tirando fuori uno strascico infinito da una lavatrice. Bérénice-Huppert, nelle sue indefesse lamentazioni, professa coraggio nel sentirsi lontana dal potere e nel provare a nettare sul palco i panni sporchi della relazione impossibile con Tito, calorifero che non scalda. Lo farà fino alla fine riducendosi un cencio e poi risorgendo sgargiante (ma solo per risprofondare definitivamente).

Poche altre attrici avrebbero saputo reggere in scena l’inattuale monumentalità della liberissima riscrittura di Castellucci, intenzionato a misurarsi con la tragedia antica attraverso il poema tragico di Racine, uno dei pochi esempi del genere in cui non stilla una goccia di sangue. Huppert – non avevamo dubbi – ci riesce, navigando attraverso tre scene sacrali e maestose in cui più che un’attrice sembra una sacerdotessa. Ma tutta la pièce è intrisa di questa aura di sacralità che la rende distante e misteriosa, come dice il regista: “Tutto è tenuto o trattenuto. I Greci (e San Paolo) avevano una parola per esprimere quest’idea : katechon (dal greco : ciò che trattiene). Si può in tal modo percepire l’abisso nascosto, ma così vicino, come un velo febbrile tra il fondo e la forma, il tuffarsi e la realtà. Da un lato, ci sono dunque la cortesia, il linguaggio aulico, e dall’altro, vicinissimo, nei recessi, l’abisso, la violenza, la morte, il sangue”.

Non assistiamo a una semplice pièce ma a un rito misterico messo in scena con simulacri di antichi culti, greci e latini con vista sul cristianesimo degli albori, in cui perdersi (ma la palla da basket che rimbalza battendo il tempo ci impedisce di tornare davvero indietro nel tempo). E noi che siamo appollaiati in galleria, immersi nella nebbiolina che pervade tutto il teatro, ci perdiamo davvero, nel senso che non riusciamo a cogliere fino in fondo i dettagli della scena e dell’interpretazione impeccabile di Madame Huppert. Neppure la sovratitolazione scampa allo “psichismo profondo” che Castellucci impone sia in fase di scrittura che di messa in scena, elegante (soprattutto l’esodo, con dei fiori giganti che parano le spalle alla divina abbigliata con un colorato e bellissimo abito regale) e anche terrificante?

Qui sta la questione: la pièce deve spaurare, creare sgomento, far precipitare nello psichismo lo spettatore, grazie anche a un sound epico-monumentale (di Scott Gibbons) virato al noise e al disturbante, a tratti opaco e impastato. Lo confessiamo, a noi del teatro appollaiato non è capitato. Non siamo caduti anima e corpo nei sublimi movimenti liturgici del coro, tutto al maschile e desnudo, con corpi asciugati fino all’essenza midollare. Abbiamo assistito, a tratti con piacere, a questo rito della passione amorosa tradita di una donna che si aggrappa alla sua dignità ferita a morte. Abbiamo visto come Castellucci sa muovere e usare ancora ad arte tutta la scena, che partecipa con oggetti aurorali, cani misterici, busti di statue, e drappi che calano e avvolgono edificando il linguaggio della pièce, che trasmette in fondo quel che promette: “D’altronde, c’è dell’oscuro nella limpidezza di Racine… Ho qualche dubbio sulla meravigliosa luce della sua lingua. C’è anche molta ombra. Ed è a questa ombra che darò tutta la sua importanza“.

L’ombra prende così possesso della scena nell’afasia finale di Bérénice, che la costringe a un esodo in cui, in puro stile del fondatore della mai troppo lodata Societas, è il linguaggio stesso a diventare essenza umbratile e transeunte. Per finire, il gioco del Katechon riflette bene il panorama drammaturgico attuale di Castellucci, uomo di teatro ma soprattuto cultore della” totalità delle arti”, che si sta addentrando sempre di più in un viaggio intellettuale profondo ma anche dalle nuance solipsistiche. Stiamo al suo gioco: basta o non basta una somma Huppert e qualche scena maestosa  per trascinare lo spettatore in una centrifuga in cui Racine non è che un’imago numinosa e un pugno di parole belle ma evanescenti? Se il teatro dev’essere (anche) emozione, ovvero carne e sangue, e non esercizio di stile e manifesto, ovvero accademia umbratile, la risposta è no.

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Romeo Castellucci

Bérénice – Da Jean Racine

liberamente ispirato a Bérénice di Jean Racine

un monologo con Isabelle Huppert e con la partecipazione di Cheikh Kébé e Giovanni Manzo e la presenza di dodici persone locali.

concezione e regia: Romeo Castellucci / musica originale: Scott Gibbons/ costumi: Iris Van Herpen/assistenza alla regia: Silvano Voltolina / collaborazione alla drammaturgia: Bernard Pautrat/ cura dei movimenti corali: Silvano Voltolina/ direzione tecnica: Eugenio Resta / tecnici di palco: Andrei Benchea e Stefano Valandro / tecnico luci: Andrea Sanson / tecnico del suono: Claudio Tortorici / costumista: Chiara Venturini / ideazione trucco e acconciatura: Sylvie Cailleret Jocelyne Milazzo / sculture di scena e automazioni: Plastikart Studio Amoroso & Zimmermann / direttori di produzione: BenedettaBriglia, Marko Rankov / produzione e Tour: Giulia Colla / organizzazione: Bruno Jacob, Leslie Perrin, Caterina Soranzo/ contributo alla produzione: Gilda Biasini / equipe tecnica in sede: Lorenzo Camera, Carmen Castellucci, Francesca Di Serio, Gionni Gardini / cura dei movimenti corali: Silvano Voltolina / stagista costumista –Madeleine Tessier/ répétitrice movimenti –Serena Dibiase/ répétitrice memoria –Agathe Vidal/ amministrazione: Michela Medri, Elisa Bruno, Simona Barducci / consulenza economica –Massimiliano Coli / produttori esecutivi: Societas, Cesena; Printemps des Comédiens -Cité du Théâtre Domaine d’O, Montpellier/ co-produttori: Théâtre de La Ville Paris, France; Comédie de Genève, Suisse; Les Théâtres de la Ville de Luxembourg; deSingel International Arts Center, Belgium; Festival Temporada Alta, Spain; Teatro di Napoli –Teatro Nazionale, Thalia Theater Hamburg; Onassis Stegi; Triennale Milano, Italy; National Taichung Theater, Taiwan; LAC Lugano Arte e Cultura, Switzerland; La Comédie de Clermont-Ferrand –Scène Nationale, France; Théâtre national de Bretagne, France; Yanghua Theatre, Chine /con il sostegno di: Fondation d’entreprise Hermè.